Adele Succetti

psicoterapeuta e psicoanalista lacaniana
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La psicoanalisi reinventata da Jacques Lacan 

Sigmund Freud, all’inizio del secolo scorso, ha inventato la psicoanalisi e il concetto di inconscio a partire da una scoperta essenziale: lasciar parlare il paziente senza costrizioni, anzi suggerirgli di parlare liberamente, senza censure, permette l’emergere di un'Altra scena, di una realtà nascosta che, però, agisce sull’individuo, a sua insaputa, e che lo fa soffrire, che produce sintomi. Dare voce all’inconscio attraverso la parola del soggetto, proprio per questo, ha effetti terapeutici – i sintomi perdono consistenza – e permette l’emergere di qualcosa di nuovo: ricordi rimossi, identificazioni sconosciute e, non da ultimo, un sapere sul proprio desiderio inconscio.  

Jacques Lacan ha riletto l’insegnamento di Freud – nel suo cosiddetto “ritorno a Freud” – e ne ha sviluppato le aporie, a partire dalla propria esperienza come psicoanalista. Così ha inventato un nuovo modo d’intendere la psicoanalisi, di cui stanno ancora misurando le conseguenze gli psicoanalisti che fanno riferimento al suo insegnamento, sia per la psicoanalisi in senso stretto che per la psicoterapia orientata analiticamente. Citerò, quindi, alcune affermazioni di Lacan, che spiegano in modo abbastanza comprensibile la sua teoria.

In primo luogo, per Lacan, l’inconscio è una struttura simbolica con un funzionamento preciso (“l’inconscio è strutturato come un linguaggio” dice uno dei suoi aforismi più noti), non un contenitore immaginario di immagini o simboli del passato. L’inconscio, afferma ancora Lacan,

“è un sapere che il soggetto non sa di sapere”
J.Lacan

ma che ha effetti importanti nella sua vita, a livello del corpo (sintomi somatici) o della mente (disturbi legati al pensiero). L’inconscio, come aveva già scritto Freud, si manifesta anche in quelle che sono le sue formazioni: i sogni, i lapsus, gli atti mancati,… 

Nella trasmissione intitolata “Televisione”, del 1973, Lacan sottolinea che l’inconscio esiste solo nell’essere parlante. Esso dipende dal linguaggio, dal fatto che l’uomo è tale proprio in quanto parla. L’inconscio introduce il “pensiero” – nel senso della struttura del linguaggio – nel corpo e ne ritaglia degli organi per così dire anomali, che non corrispondono a quelli reali – come nell’isteria. Nella nevrosi ossessiva, invece, il “pensiero”, più o meno inconscio, infesta la mente e l’anima, blocca l’agire e tormenta chi ne soffre. Per questo motivo, come dice ancora Lacan, 

“la guarigione è una domanda che parte dalla voce di colui che soffre (…) del suo corpo o del suo pensiero.”
J.Lacan

Allo psicoanalista chiede di essere liberato da sintomi che lo affliggono, che si ripetono e di cui non capisce il senso, poiché spesso vanno contro i suoi interessi, contro la sua stessa vita.  

La psicoanalisi lacaniana, a partire da queste ipotesi, già presenti nei testi di Freud, considera il sintomo come “un nodo di significanti”, significanti inconsci, che si tratta di “sciogliere”, di allentare… attraverso l’ascolto della parola dell’analizzante e, tramite questa, attraverso la lettura del suo inconscio – “lavoratore ideale” – che alimenta il sintomo e contro il quale l’interpretazione analitica opera. 

In un’intervista rilasciata a Emilia Granzotto, il 21 novembre 1974, per il settimanale Panorama, Lacan parla in modo sintetico della psicoanalisi – “una pratica che si occupa di quello che non va” – rispondendo a domande che, poiché molto dirette, producono risposte chiare e complete.

“D. – Che cosa spinge la gente a farsi psicoanalizzare ?

R. – La paura. Quando gli accadono cose, persino volute da lui, che non capisce, l’uomo ha paura. Soffre di non capire, e a poco a poco entra in uno stato di panico. È la nevrosi. Nella nevrosi isterica il corpo si ammala dalla paura di essere malato, e senza in realtà esserlo. Nella nevrosi ossessiva la paura mette cose bizzarre dentro la testa, pensieri che non si possono controllare, fobie in cui forme e oggetti acquistano significati diversi e paurosi.

D. – Per esempio ?

R. – Succede al nevrotico di sentirsi forzato da un bisogno spaventoso di andare a verificare decine di volte se un rubinetto è veramente chiuso o se una data cosa sta nel dato posto, pur sapendo con certezza che il rubinetto è come dev’essere e la cosa sta dove deve stare. Non ci sono pillole che guariscono questo. Devi scoprire perché ti accade, e sapere che cosa significa.

D. – E la cura ?

R. – Il nevrotico è un malato che si cura con la parola, prima di tutto con la sua. Deve parlare, raccontare, spiegare se stesso. Freud la definisce « assunzione da parte del soggetto della propria storia, nella misura in cui è costituita dalla parola indirizzata a un altro ».

La psicoanalisi è il regno della parola, non ci sono altre medicine. Freud spiegava che l’Inconscio non tanto è profondo, quanto piuttosto inaccessibile all’approfondimento cosciente. E diceva che in questo Inconscio « c’è chi parla » : un soggetto nel soggetto, trascendente il soggetto. La parola è la grande forza della psicoanalisi.

    D. – Parole di chi ? Del malato o dello psicoanalista ?

R. – In psicoanalisi i termini malato, medico, medicina non sono esatti, non si usano. Non sono giuste neppure le formule passive che si adoperano comunemente. Si dice « farsi psicoanalizzare ». È sbagliato. Chi fa il vero lavoro, nell’analisi, è quello che parla, il soggetto analizzante. Anche se lo fa nel modo suggerito dall’analista, che gli indica come procedere e lo aiuta con interventi. Gli viene fornita anche un’interpretazione, che a prima botta sembra dare un senso a quello che l’analizzante dice.

In realtà l’interpretazione è più sottile, tesa a cancellare il senso delle cose di cui il soggetto soffre. Il fine è quello di mostrargli, attraverso il suo stesso racconto, che il suo sintomo, la malattia, diciamo, non ha alcun rapporto con niente, è privo di qualsiasi senso. Quindi, anche se in apparenza è reale, non esiste.

Le vie per cui procede questa azione della parola richiedono molta pratica e infinita pazienza. La pazienza e la misura sono gli strumenti della psicoanalisi. La tecnica consiste nel saper misurare l’aiuto che si dà al soggetto analizzante. Perciò la psicoanalisi è difficile.

...

La scoperta della psicoanalisi è l’uomo come animale parlante. Sta all’analista mettere in fila le parole che ascolta e dargli un senso, un significato. Per fare una buona analisi ci vuole accordo, affiatamento fra analizzante e analista.

Attraverso le parole dell’uno, l’altro cerca di farsi un idea di che cosa si tratta, e di trovare al di là del sintomo apparente il difficile nodo della verità. Altra funzione dell’analista è spiegare il senso delle parole, per far capire al paziente che cosa può aspettarsi dall’analisi.”

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